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La scuola musicale napoletana vanta una gloriosa tradizione di circa cinque secoli di storia. Infatti, fu a partire dalla prima metà del Cinquecento che sorsero a Napoli quattro Conservatori di musica, nei quali si sviluppò un'arte musicale apprezzata in tutta l'Europa, ed entrata a buon diritto nella Storia.
All'inizio, tali istituzioni nacquero con il pio intento di raccogliere dalla strada ragazzi orfani, abbandonati, di ospitarli in collegi retti dalla pubblica carità, e di dar loro un'educazione finalizzata a una occupazione come artigiani. Pur tuttavia tali allievi, detti figlioli, venivano anche istruiti nel canto, collegato alle funzioni religiose della cappella cui s'intitolava il Conservatorio; poi, man mano, l'attività musicale divenne quella principale, e si sviluppò in modo professionale per motivi storici che in breve riassumeremo.
Durante i secoli XVI e XVII, nella città di Napoli, per la sfarzosa rappresentatività politica dei Viceré spagnoli, si attivò una committenza musicale che non ebbe uguali in Europa, sia per il moltiplicarsi di chiese, cappelle e confraternite, sia per il sorgere di nuovi palazzi nobiliari, in cui, sull'esempio della Corte, si accoglievano manifestazioni vocali, corali e strumentali. Tale consumo, mano mano, venne coperto proprio dall'attività dei Conservatori, le cui compagini corali di giovinetti furono impiegate nelle festività ecclesiastiche, nei funerali, nel corso del Carnevale, nelle feste di Corte e nelle case dei nobili. Di conseguenza, nacque anche l'esigenza di specifiche composizioni occasionali, di cantate, di manifestazioni celebrative, che attivarono, oltre la scuola vocale, anche quella di composizione, in cui lavorarono, come in un'antica bottega, maestri ed allievi. Successivamente, nel Settecento, col sorgere dei grandi teatri pubblici, quali il San Carlo, il Teatro dei Fiorentini, il Nuovo e numerosi altri, fu la produzione di opere in musica, serie o comiche, ad assorbire ulteriormente la linfa creativa dei Conservatori, da cui uscirono cantanti e compositori rinomati in tutto il mondo. Nacque quel genere di teatro musicale denominato opera buffa o commedia musicale, che non ebbe pari in Europa, e che fu oggetto di attenzione in Francia e da parte di musicisti quali Haendel, Haydn e Mozart.
 

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Il più antico dei Conservatori fu quello di Santa Maria di Loreto (1537) sorto nella zona del Mercato ad opera di un calzolaio, spinto, come si è detto da intenti caritatevoli, e assistito economicamente da nobili e dagli stessi Viceré. Il pio istituto sviluppò progressivamente il suo aspetto di scuola musicale, accogliendo, oltre i poveri, anche allievi a pagamento, e trasformandosi, come gli altri Conservatori, in pubblico convitto. Per tale motivo, alla fine del Seicento, in seguito alla esigenza di sempre maggiore qualificazione, al Santa Maria di Loreto insegnarono il Durante, il Provenzale e Nicola Porpora che fu compositore e maestro di canto, alla cui scuola fecero capo i più celebri castrati, quali il Farinelli, il Caffarelli, il Porporino e altri. Tra gli allievi del detto Istituto spicca il nome di Domenico Cimarosa.
Il Conservatorio di Sant'Onofrio a Capuana fu fondato nel 1578, presso la Vicaria. Vi si formarono lo Jommelli, il Paisiello e Piccinni, che ebbero fama internazionale in Germania, in Russia e in Francia.

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(Giovanni Paisiello-Domenico Cimarosa-Saverio Mercadante)

Intorno al 1583 si costituì il Conservatorio della Pietà dei Turchini, presso via Medina, la cui rinomanza è collegata ai nomi gloriosi di Leonardo Leo, Francesco Feo, Nicola Fago, Gaspare Spontini e Saverio Mercadante.
Infine, il 1589 è l'anno, indicato dagli storici, nel quale venne fondato il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, ad opera di Marcello Fossataro, monaco francescano, profondamente motivato dalla miseria e dall'abbandono in cui versavano i ragazzi spersi e vagabondi per le strade di Napoli. La scuola ebbe sede presso la Chiesa di Santa Maria a Colonna, nella piazzetta dei Girolamini, ed ebbe per insegnanti Gaetano Greco, il Durante, il Porpora, il Feo e l'Abos. Tra gli allievi brilla il nome di Giambattista Pergolesi.
Ma se il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo fu l'ultimo a essere fondato, fu il primo ad essere soppresso nel 1743, in seguito a una rivolta di allievi contro il Rettore dell'Istituto. A differenza degli altri Conservatori, quello dei Poveri di Gesù Cristo fu strettamente dipendente dalla Curia Arcivescovile di Napoli, e la sua storia, quindi, non fu parallela a quella degli altri collegi di musica, retti da Confraternite.
Ma alla fine del Settecento anche il Conservatorio di Santa Maria di Loreto venne soppresso e si fuse con quello di Sant'Onofrio. Nel 1806, il Re Giuseppe Napoleone fece confluire i detti istituti alla Pietà dei Turchini, che assunse il nuovo titolo di Real Collegio di musica. Ma nel 1808, il Sovrano, per l'insufficienza dei locali, fece trasferire la scuola musicale al Monastero delle Dame Monache di San Sebastiano, per cui il Real Collegio di musica prese il nome di Conservatorio di San Sebastiano, in cui studiò Vincenzo Bellini.
Infine, nel 1826, per decreto del Re Francesco I, il Collegio si spostò definitivamente nell'antico monastero di San Pietro a Maiella, in cui tuttora sono conservati gli archivi degli antichi Conservatori, ad eccezione, come si è detto, di quelli relativi ai Poveri di Gesù Cristo, sottoposti alla gestione dell'Archidiocesi.

 

San Pietro a Maiella ESCAPE='HTML'

San Pietro a Maiella

San Pietro a Maiella
A tal punto vanno evidenziate le caratteristiche peculiarità della tradizione napoletana. Vale a dire che la nostra scuola musicale si distinse dalle altre scuole italiane, o europee, per la rilevanza data alla vocalità ed alle componenti teatrali (anche quando la composizione era di tipo oratoriale ed era destinata a fruizione religiosa). I musicisti di scuola napoletana, insomma, composero le loro opere in riferimento a virtuosi di bel canto, sviluppando linee melodiche di altissimo stile, sostenute elegantemente da sobrie armonie, da equilibratissime orchestrazioni che mai sopraffacevano il canto: il tutto era finalizzato a una teatralità in cui il suono diventava gesto, coinvolgente drammaturgia, senza mai indulgere ad alcun sentimentalismo volgarmente veritiero.

in epoca romantica, con la soppressione in teatro degli evirati, si sviluppò un tipo di vocalità femminile e tenorile, adeguato alle nuove opere del Bellini, del Rossini, ma pur sempre connotato da caratteri virtuosistici di bel canto. Successivamente si sviluppò una grande scuola pianistica, una novella scuola di composizione, che ebbe i suoi frutti nella produzione del verismo musicale, collegato ai gloriosi nomi di Francesco Cilea e di Umberto Giordano.

Alla fine dell'Ottocento, Richard Wagner fu ospitato a Napoli nel periodo in cui era intento alla composizione del Parsifal, e volle visitare il glorioso Conservatorio; ivi, nel corso della settimana santa, udì un'esecuzione del Miserere di Leonardo Leo cantato dagli allievi del collegio stesso. Le commosse parole che Egli espresse per la scuola napoletana ci furono tramandate dalla moglie del Maestro, da un suo autografo conservato in Conservatorio, e dalla testimonianza di Umberto Giordano che era tra gli allievi che eseguirono quella sublime musica del Leo.

Nel glorioso Istituto, tra l'altro, ha sede una vastissima biblioteca in cui si conservano circa 600.000 testi musicali, tra cui rari manoscritti autografi dei grandi musicisti di scuola napoletana; insomma, l'ingente patrimonio ivi custodito costituisce uno degli accumuli musicali più importanti del mondo.
Anche per tale motivo, nel secolo appena trascorso, il San Pietro a Maiella ha avuto tre direttori nominati per chiara fama: Giuseppe Martucci, Francesco Cilea e Roberto De Simone.

LA CANZONE NAPOLETANA

 'O sole mio

Autore/i Giovanni Capurro, Eduardo Di Capua

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Funiculì funiculà
Autore/i Giuseppe Turco / Luigi Denza

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Era de maggio
Autore/i Salvatore Di Giacomo (testo), Mario Pasquale Costa (musica)

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Santa Lucia
Autore/i Teodoro Cottrau

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'O surdato 'nnammurato
Autore/i Aniello Califano
Enrico Cannio

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Reginella
Autore/i Libero Bovio, Gaetano Lama

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le composizioni più rilevanti della canzone classica napoletana, appartenenti all'Ottocento, si ricordano:
Santa Lucia (1848), di Teodoro Cottrau e Enrico Cossovich;
Funiculì funiculà (1880), di Luigi Denza su testo del giornalista Giuseppe Turco;
Era de maggio (1885), di Mario Costa su testo di Salvatore Di Giacomo;
Marechiare (1886), di Francesco Paolo Tosti su testo di Salvatore Di Giacomo;
Scetate (1887), di Mario Costa su testo di Ferdinando Russo;
Comme te voglio amà (1887), di Vincenzo Valente;
'E spingole frangese (1888), di Enrico De Leva su testo di Salvatore Di Giacomo;
Lariulà (1888), di Mario Costa su testo di Salvatore Di Giacomo;
Catarì (1892), di Mario Costa su testo di Salvatore Di Giacomo;
'A vucchella (1892), di Francesco Paolo Tosti su testo di Gabriele D'Annunzio;
Carcioffolà (1893), di Eduardo Di Capua su testo di Salvatore Di Giacomo;
Serenata napulitana (1897), di Mario Costa su testo di Salvatore Di Giacomo;
'O sole mio (1898), di Eduardo Di Capua su testo di Giovanni Capurro;
Maria Marì (1899), di Eduardo Di Capua su testo di Vincenzo Russo;
La macchietta
Una modalità molto popolare di esecuzione della canzone napoletana, nata già verso la fine dell'Ottocento, fu la "macchietta". Il termine deriva dal modo di descrivere personaggi e situazioni come fosse in uno schizzo abbozzato in modo caricaturale. Fra gli autori ed interpreti di questo genere vanno ricordati Nicola Maldacea, Nino Taranto e Vittorio Marsiglia.
A dimostrazione del successo e dell'importanza della canzone napoletana ottocentesca, il brano Palummella zompa e vola (1873) fu addirittura proibita per i suoi evidenti contenuti sovversivi, poiché alludeva alla libertà. Per questo motivo, gli autori ne cambiarono il testo anche se il popolo napoletano continuò a cantarne l'originale versione

agli inizi del Novecento si annoverano altre importanti canzoni divenute anch'esse famose in tutto il mondo.
Voce 'e notte (1904), di Ernesto De Curtis su testo di Edoardo Nicolardi;
Comme facette mammeta (1906), di Salvatore Gambardella su testo di Giuseppe Capaldo;
Core 'ngrato (1911), di Salvatore Cardillo su testo di Alessandro Sisca;
'O surdato 'nnammurato (1915), di Enrico Cannio su testo di Aniello Califano;
Reginella (1917), di Gaetano Larna su testo di Libero Bovio;
Lacrime napulitane (1925), di Francesco Buongiovanni su testo di Libero Bovio
'O paese d' 'o sole (1925), di Vincenzo D'Annibale su testo di Libero Bovio
Dicitencello vuje (1930), di Rodolfo Falvo su testo di Enzo Fusco;

La Seconda guerra mondiale segnò profondamente la città di Napoli ed anche la canzone non poté sfuggire alla tragicità degli eventi, Munasterio 'e Santa Chiara è la testimonianza più struggente di quel momento ma, come sempre, Napoli riesce anche a sorridere nei momenti più bui; Tammurriata nera fu l'esempio di come l'umorismo partenopeo fosse sempre pronto ad emergere, anche di fronte a fatti tragici.
 

Il pessimismo esistenziale di Luna rossa di Vincenzo De Crescenzo e Vian (ccà nun ce sta nisciuno, 1950) apre, però, una nuova stagione d'oro della canzone napoletana alla ricerca di una rigenerazione non solo musicale. Se Roberto Murolo diviene l'interprete per eccellenza della canzone tradizionale, Renato Carosone mette a disposizione le sue esperienze di pianista classico e di jazzista, fondendole con ritmi africani e americani e creando una forma di macchietta, ballabile e adeguata ai tempi. Tra i suoi maggiori successi si ricordano: Caravan Petrol, Tu vuò fa' l'americano, Io mammeta e tu, Maruzzella, 'O sarracino e tante altre.
Inoltre va annoverata un'altra importante canzone nata da uno dei più importanti parolieri, poeti ed attori cinematografici e teatrali del XX secolo: Malafemmena (1951), scritta e musicata da Totò.


 

Gli anni sessanta

Domenico Modugno

In pieno novecento la canzone sopravvive grazie al ruolo primario del Festival di Napoli, che tra querelle e scandali riesce a imporre la sua canzone in tutta Italia prima ancora che si affermasse il Festival di Sanremo. Tra i protagonisti del Festival di Napoli ricordiamo i cantanti napoletani Sergio Bruni, Mario Abbate, Angela Luce, Giacomo Rondinella, Aurelio Fierro, Mario Trevi,Giulietta Sacco Nunzio Gallo, Mario Trevi, Tony Astarita, Maria Paris, Mirna Doris e Mario Merola. A questi si affiancheranno cantanti provenienti dal Festival di Sanremo, come Domenico Modugno, Claudio Villa, Carla Boni, Wilma De Angelis e Ornella Vanoni, ed attori come Franco Franchi, Nino Taranto, Oreste Lionello e Renato Rascel.
 

La parabola storica della canzone napoletana termina nella seconda metà degli anni sessanta, quando il Festival entra in crisi (si conclude nel 1970) e la canzone perde ogni legame col suo retaggio classico divenendo espressione del sottoproletariato urbano. La fama di questo genere rimane immutata nonostante il passare del tempo, e tutti i cantanti affermati inseriscono regolarmente alcuni tra i pezzi più famosi nel loro repertorio seguendo le orme di Enrico Caruso e Beniamino Gigli. E proprio sull'esempio dei due grandi tenori, Bruno Venturini rileggerà in chiave lirica i più famosi brani napoletani dal 1800 al 1960, dando vita e continuità ad una significativa opera antologica sulla canzone classica napoletana.
Gli anni sessanta rappresentano il periodo d'oro del Festival della Canzone Napoletana, ma questa è anche l'epoca di fenomeni innovativi: Peppino di Capri opera una "fusion" fra melodia partenopea e ritmi di altre culture musicali, imponendosi all'attenzione di critici e pubblico;Peppino Gagliardi rompe gli schemi interpretativi della canzone napoletana; Roberto De Simone e la sua Nuova Compagnia di Canto Popolare non si limita a recuperare e valorizzare la musica folk tradizionale, ma l'arricchisce di elementi di musica colta.
In questo periodo le interpretazioni che più ebbero successo furono indubbiamente quelle di Modugno, di cui si ricordano numerose canzoni scritte e cantate in napoletano. Spicca su tutte Tu sì na cosa grande (1964), per la quale lo stesso autore pugliese scrisse la musica, mentre il testo appartiene a Gigli.

LA CANZONE NAPOLETANA NEL MONDO